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Breve biografia dell’Imam Khomeini - Seconda parte

23:44 - June 07, 2022
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Iqna - Nonostante l’ampiezza dei traguardi politici raggiunti, la personalità dell’Imam Khomeini era essenzialmente quella di uno gnostico, per il quale l’attività politica non rappresentò altro che lo sbocco naturale di una intensa vita interiore dedita alla devozione. La visione onnicomprensiva dell’Islam che riuscì ad articolare e che esemplificò rappresenta la sua eredità più importante

Breve biografia dell’Imam Khomeini - Seconda parte

 

Gli anni della lotta politica e dell’esilio (1962-1978)

L’accentuarsi dell’attività dell’Imam iniziò a cambiare con la morte di Burujerdi, il 31 Marzo 1961, perché l’Imam emerse come uno dei successori alla posizione di guida ricoperta del defunto. Questo suo affermarsi è testimoniato dalla pubblicazione di alcuni suoi scritti sul fiqh, e in particolare dal manuale basilare di pratica religiosa intitolato, come altre opere dello stesso filone,Tauzih al-Masa’il. Egli venne presto accettato come marja’-i taqlid da un alto numero di sciiti iraniani. Il suo ruolo di guida, comunque, era destinato ad andare ben oltre quello tradizionale di marja’-i taqlid e ad ottenere una onnicomprensività unica nella storia degli ulama sciiti.

La cosa divenne evidente subito dopo la morte di Burujerdi, quando lo Shah Muhammad Reza, sicuro del suo potere dopo il colpo di stato organizzato dalla CIA nell’agosto del 1953, mise in cantiere una vasta gamma di misure destinate a stroncare qualunque fonte di opposizione, effettiva o potenziale, e ad inserire l’Iran in pianta stabile all’interno dei piani di dominio strategico ed economico statunitense. Nell’autunno del 1962 il governo promulgò una nuova legge elettorale per i consigli locali e provinciali, che cancellava per i neoeletti l’obbligo di giuramento sul Corano.

Ravvisando in questo un piano per permettere ai Baha’i di infiltrarsi nella vita pubblica, l’Imam Khomeini inviò un telegramma allo Shah e al primo ministro in carica, ammonendoli perché cessassero di violare sia la legge dell’Islam che la Costituzione iraniana del 1907, ed avvertendoli che in caso contrario gli ulama avrebbero condotto una dura campagna di protesta. Rifiutandosi di scendere a compromessi, l’Imam riuscì ad imporre il ritiro della legge elettorale sette settimane dopo che era stata promulgata. Questo risultato lo fece emergere sulla scena politica come la principale voce di opposizione allo Shah.

L’occasione per un confronto più serio non si fece attendere. Nel Gennaio 1963 lo Shah annunciò un programma di riforme in sei punti da lui denominato “Rivoluzione Bianca”, un pacchetto di misure ispirato dagli Stati Uniti e destinato a dare al regime una facciata progressista e liberale. L’Imam Khomeini convocò a Qom un’assemblea con i suoi colleghi per evidenziare loro quanto fosse pressante la necessità di opporsi ai piani dello Shah, ma essi furono inizialmente esitanti. Inviarono dallo Shah come loro rappresentante, per capire le sue intenzioni, l’Ayatullah Kamalvand.

Sebbene lo Shah non mostrò alcuna intenzione di abbandonare il disegno di legge o di giungere a compromessi, ciò portò l’Imam Khomeini ad esercitare ulteriori pressioni sugli altri anziani ulama di Qom per persuaderli a decretare un boicottaggio del referendum che lo Shah aveva indetto nell’intento di ottenere una parvenza di approvazione popolare per la sua Rivoluzione Bianca. Da parte sua, il 22 Gennaio 1963 l’Imam Khomeini redasse una dichiarazione dai forti toni nella quale denunciava lo Shah ed i suoi piani. Pensando forse di imitare il padre, che nel 1928 aveva marciato su Qom alla testa di una colonna armata per intimidire certi ulama senza peli sulla lingua, lo Shah giunse a Qom due giorni dopo. Fu boicottato da tutti i maggiorenti della città, e tenne un discorso in cui attaccava aspramente l’intera classe degli ulama.

Il 26 Gennaio si tenne il referendum e la bassa affluenza fu una prova della fiducia crescente che il popolo iraniano riponeva nelle direttive dell’Imam Khomeini. L’Imam andò avanti con la sua opera di denuncia dei programmi dello Shah redigendo un manifesto, che venne firmato anche da altri otto anziani sapienti.

In esso si enumeravano i vari casi in cui lo Shah aveva violato la Costituzione, si condannava la corruzione morale del paese e si accusava lo Shah di totale sottomissione all’America ed Israele. “Vedo la soluzione nella rimozione di questo governo tirannico che ha violato i dettami dell’Islam e calpestato la costituzione. Deve essere sostituito da un governo che sia fedele all’Islam e si preoccupi della nazione iraniana”25. Decretò inoltre la cancellazione delle celebrazioni per il Nowruz (il capodanno persiano) dell’anno iraniano 1342, corrispondente al 21 Marzo 1963, in segno di protesta contro la politica del governo.

Il giorno successivo alla madrasa Feyziye di Qom, il luogo in cui l’Imam teneva i suoi discorsi pubblici, arrivarono i paracadutisti. Uccisero diversi studenti, ne picchiarono ed arrestarono molti altri, e perquisirono l’edificio. Indomito, l’Imam continuò con i suoi attacchi al regime.

Il primo Aprile denunciò il persistente silenzio di certi ulama apolitici come “equivalente alla collaborazione con il regime tirannico”, ed il giorno successivo proclamò la neutralità politica sotto la maschera della taqiya come haram (proibita)26. Quando lo Shah inviò suoi emissari a casa degli ulama di Qom perché li minacciassero di distruggere le loro abitazioni, l’Imam reagì con veemenza riferendosi allo Shah come “quell’omuncolo (mardak)”.

Il 3 Aprile 1963, quattro giorni dopo l’attacco alla madrasa Feyziye, egli descrisse il governo iraniano come determinato a sradicare l’Islam per conto degli Stati Uniti e Israele, e sé stesso come risoluto a combatterlo.

Circa due mesi dopo, il confronto portò ad una insurrezione. L’inizio del mese di Muharram, da sempre un periodo di accentuata consapevolezza e sensibilità religiosa, fu aperto a Teheran da un corteo che portava ritratti dell’Imam e denunciava lo Shah davanti al suo stesso palazzo. Nel pomeriggio del giorno di Ashura (3 Giugno 1963), nella madrasa Feyziye l’Imam Khomeini tenne un discorso in cui tracciava un parallelo tra il califfo omayyade Yazid e lo Shah, ed avvertiva lo Shah che, se non avesse cambiato linea politica, sarebbe arrivato il giorno in cui il popolo avrebbe ringraziato per la sua partenza dal paese27.

Questo monito fu straordinariamente preveggente, perché il 16 Gennaio 1979 lo Shah fu davvero costretto ad abbandonare l’Iran in mezzo a scene di gioia popolare. L’effetto immediato del discorso dell’Imam fu, comunque, il suo arresto, due giorni dopo, alle tre del mattino, da parte di un gruppo di commando che velocemente lo trasferirono nel carcere di Qasr a Teheran.

All’alba del 5 Giugno la notizia del suo arresto si diffuse prima a Qom e poi nelle altre città. A Qom, Teheran, Shiraz, Mashhad e Varamin masse di dimostranti inferociti furono affrontate coi carri armati e massacrate senza pietà. Il completo ripristino dell’ordine pubblico richiese non meno di sei giorni. La rivolta del 15 Khordad 1342 (il giorno del suo inizio nel calendario iraniano) rappresenta un punto di svolta per la storia iraniana. Da quel momento in poi la natura repressiva e dittatoriale del regime dello Shah, rafforzata dal risoluto appoggio degli Stati Uniti, si intensificò con continuità, e di pari passo crebbe il prestigio dell’Imam Khomeini, considerato l’unica personalità di rilievo –sia sul piano secolare che su quello religioso- in grado di sfidarlo.

L’arroganza incarnata della politica dello Shah portò molti ulama ad abbandonare il loro quietismo e ad allinearsi agli obiettivi radicali prospettati dall’Imam. Il movimento del 15 Khordad può quindi essere considerato come il preludio della Rivoluzione Islamica del 1978-79; gli obiettivi di questa rivoluzione e la sua guida erano già stati definiti.

Dopo diciannove giorni nel carcere di Qasr, l’Imam Khomeini fu prima trasferito nella base militare di Ishratabad e poi in una casa nel quartiere di Davudiya a Teheran, dove venne tenuto sotto stretta sorveglianza. Nonostante i massacri verificatisi durante l’insurrezione, a Teheran ed in altre città si svolsero manifestazioni di massa che richiedevano la sua liberazione, ed alcuni dei suoi colleghi giunsero da Qom nella capitale per sostenere la richiesta. Egli non venne comunque rilasciato fino al 7 Aprile 1964, ritenendo che la prigionia avesse smorzato le sue idee e che il movimento da lui guidato si sarebbe tranquillamente placato.

Tre giorni dopo la sua liberazione e ritornato a Qom, l’Imam Khomeini fece piazza pulita di qualunque illusione al riguardo smentendo le dicerie, diffuse dalle autorità, secondo cui aveva raggiunto un accordo con il regime dello Shah; al contrario dichiarò che il movimento iniziato il 15 Khordad sarebbe continuato. Consapevole del persistere di differenze di approccio tra l’Imam ed alcuni degli anziani sapienti religiosi, il regime aveva cercato di screditarlo ulteriormente fomentando il dissenso a Qom. Anche tali tentativi non furono coronati da successo, poiché all’inizio del Giugno del 1964 tutti gli ulama più importanti firmarono le dichiarazioni che commemoravano il primo anniversario dell’insurrezione del 15 Khordad.

Nonostante il proprio fallimento nel marginalizzare o a ridurre al silenzio l’Imam Khomeini, il regime dello Shah proseguì inflessibile nella propria politica filoamericana. Nell’autunno del 1964 esso strinse un accordo con gli Stati Uniti in base al quale veniva assicurata l’immunità giuridica a tutto il personale americano in Iran e ai loro dipendenti.

In questa occasione l’Imam pronunciò quello che probabilmente fu il suo più veemente discorso nell’intera lotta contro lo Shah; uno dei suoi compagni più stretti, l’Ayatullah Muhammed Mofatteh, riferì di non averlo mai visto tanto agitato28. L’Imam denunciò l’accordo come un cedimento della sovranità e dell’indipendenza dell’Iran, compiuto in cambio di un prestito di duecento milioni di dollari di cui avrebbero beneficiato solo lo Shah ed i suoi associati, e dipinse come traditori tutti coloro che, nel Majlis (assemblea parlamentare iraniana), vi avevano votato a favore. Concluse affermando che il governo aveva perduto ogni legittimità29.

Poco prima dell’alba del 4 Novembre 1964, un reparto di commando circondò nuovamente la casa dell’Imam a Qom, lo arrestò, e questa volta lo portò direttamente all’aeroporto Mehrabad di Teheran per esiliarlo immediatamente in Turchia. La decisione di espellerlo piuttosto che arrestarlo e incarcerarlo venne presa senza dubbio nella speranza che, una volta esiliato, l’Imam sarebbe svanito dalla memoria popolare. Eliminarlo fisicamente avrebbe comportato il rischio di una insurrezione incontrollabile. La scelta della Turchia indicava la cooperazione tra questo paese e il regime dello Shah nel campo della sicurezza.

L’Imam ebbe come prima sistemazione la stanza 514 del Bulvar Palas Oteli ad Ankara, un albergo di medio livello nella capitale turca, sotto la sorveglianza congiunta di agenti di sicurezza iraniani e turchi. Il 12 Novembre venne trasferito da Ankara a Bursa, dove rimase altri undici mesi.

La permanenza in Turchia non fu congeniale; la legge locale impediva all’Imam Khomeini di indossare il turbante e la tunica di sapiente islamico, un’identità che era integrale al suo essere; le poche fotografie esistenti che lo mostrano a capo scoperto risalgono tutte al periodo dell’esilio turco30.

Il 3 Dicembre 1964 venne comunque raggiunto a Bursa dal figlio maggiore, Hajj Mustafa Khomeini; ebbe anche il permesso di ricevere visitatori occasionali provenienti dall’Iran, e gli furono inoltre forniti vari libri sul fiqh. Utilizzò il soggiorno forzato a Bursa per scrivere il Tahrir al-wasila, un compendio in due volumi su questioni di giurisprudenza. Importanti e distintive sono le fatwa31contenute in questi volumi, raccolte sotto il titolo al-amr bi ‘l-ma’ruf wa ‘l-nahy ‘an al-munkar32 e difa33’.

L’Imam decreta, ad esempio, che “se si teme che il dominio politico ed economico (da parte di stranieri) su una terra islamica possa condurre alla riduzione in schiavitù ed all’indebolimento dei musulmani, bisogna respingere simile dominio con i mezzi appropriati, come la resistenza passiva, il boicottaggio delle merci straniere, l’abbandono di ogni accordo e di ogni legame con gli stranieri in questione”. Similmente, “se giunge notizia di un imminente attacco straniero contro uno dei paesi islamici, è responsabilità di ogni paese islamico respingerlo con ogni mezzo possibile; un simile dovere, infatti, incombe su tutti i musulmani nella loro totalità”34.

Il 5 Settembre 1965 l’Imam Khomeini lasciò la Turchia per recarsi a Najaf, in Iraq, dove avrebbe trascorso tredici anni. In quanto centro tradizionale di studio e di pellegrinaggio per gli sciiti, Najaf rappresentava sicuramente un luogo di esilio preferibile e più congeniale. Inoltre era già stata bastione dell’opposizione degli ulama alla monarchia iraniana durante la Rivoluzione Costituzionale del 1906-1909. Ma non fu per facilitare l’Imam che lo Shah organizzò il suo trasferimento a Najaf.

In primis, c’era una continua inquietudine tra i seguaci dell’Imam per la sua permanenza forzata a Bursa, lontano dall’ambiente tradizionale della madrasa sciita; simili obiezioni sarebbero state soddisfatte trasferendolo a Najaf. Si sperava inoltre che, una volta a Najaf, la figura dell’Imam sarebbe stata offuscata dai prestigiosi ulama che vi risiedevano, come l’Ayatullah Abu ‘l-Qasim Khu’i (morto nel 1995), o che l’Imam avrebbe tentato di sfidare la loro avversione per l’attività politica e confrontandoli avrebbe finito per esaurire le proprie energie.

L’Imam Khomeini evitò questo doppio rischio mostrando il proprio rispetto nei loro riguardi, continuando comunque a perseguire i traguardi che si era posto prima di lasciare l’Iran. Un’altra trappola che evitò fu quella di associarsi con il governo iracheno, che periodicamente aveva qualche attrito col regime dello Shah e avrebbe voluto utilizzare la presenza dell’Imam a Najaf per i propri scopi. L’Imam rifiutò l’opportunità di farsi intervistare dalla televisione irachena subito dopo il suo arrivo, e mantenne risolutamente la sua distanza dalle amministrazioni irachene che si succedevano.

Stabilitosi a Najaf, l’Imam Khomeini cominciò ad insegnare il fiqh alla madrasa Shaykh Murtaza Ansari. Le sue lezioni erano seguite con attenzione da studenti che provenivano non solo dall’Iran, ma anche da Iraq, India, Pakistan, Afghanistan e Stati del Golfo Persico. In realtà una migrazione di massa da Qom e dagli altri centri di insegnamento religioso dell’Iran a Najaf venne proposta all’Imam, ma egli criticò questa misura che avrebbe spopolato Qom e indebolito il suo centro di guida religiosa.

Fu sempre nella madrasa Shaykh Murtaza Ansari che tra il 21 Gennaio e l’8 Febbraio del 1970 egli tenne le celebri lezioni sulla wilayat al-faqih, la dottrina di governo che sarebbe stata tradotta in pratica dopo il trionfo della Rivoluzione Islamica (il testo di queste lezioni fu pubblicato a Najaf, non molto tempo dopo che si erano tenute, sotto il titolo di Wilayat al-Faqih ya Hukumat-i Islami; fu seguito poco dopo da una traduzione in arabo leggermente abbreviata).

Questa teoria, che può essere sintetizzata come l’assunzione, da parte di ulama opportunamente qualificati, delle funzioni politiche e giudiziarie del Dodicesimo Imam durante il tempo della sua occultazione, era già presente in nuce nella sua prima opera, il Kashf al-Asrar. Adesso l’Imam la presenta come la conseguenza postulata ed incontestabile della dottrina sciita dell’Imamato, citando e analizzando a sostegno di ciò tutti i testi rilevanti tratti dal Corano e dalle Tradizioni del Profeta e dei Dodici Imam.

Egli evidenzia con molta enfasi anche il male che aveva colpito l’Iran (così come gli altri paesi musulmani), nell’abbandonare la legge ed il governo islamico e nel lasciare l’ambito politico ai nemici dell’Islam. Delineava infine il programma per l’insediamento di un governo islamico, sottolineando in particolare la responsabilità degli ulama nel superare le loro trascurabili preoccupazioni e nel rivolgersi senza timore al popolo: “E’ preciso dovere di tutti noi rovesciare il taghut, le potenze politiche illegittime che oggi governano l’intero mondo islamico”35.

Il testo delle lezioni sulla Wilayat al-Faqih fu introdotto in Iran da visitatori che avevano incontrato l’Imam a Najaf, e da comuni cittadini arrivati in pellegrinaggio alla tomba di Hazrat ‘Ali (as). Gli stessi canali vennero usati per trasmettere in Iran le numerose lettere e proclami nei quali l’Imam commentava quanto accadeva nel suo paese durante i lunghi anni del suo esilio.

Il primo di questi documenti, una lettera agli ulama iraniani in cui assicurava loro che la caduta del regime dello Shah era prossima, è datata 16 Aprile 1967. Quello stesso giorno scrisse anche al primo ministro Amir ‘Abbas Huvayda accusandolo di gestire “un regime di terrore e di ladrocinio”36. Quando scoppiò la Guerra dei Sei Giorni nel Giugno del 1967, l’Imam rilasciò una dichiarazione in cui proibiva ogni tipo di rapporto con Israele e la compravendita di merci israeliane.

Questa dichiarazione venne ampiamente ed apertamente pubblicizzata in Iran, cosa che comportò una nuova perquisizione della casa dell’Imam Khomeini a Qom e l’arresto del suo secondogenito, Hajj Sayyid Ahmad Khomeini, che vi abitava a quel tempo. In questa occasione andarono perdute o distrutte alcune delle opere dell’Imam non ancora pubblicate. Fu a quel tempo che il regime prese in considerazione anche l’idea di deportare l’Imam dall’Iraq in India, un luogo dal quale comunicare con l’Iran sarebbe stato assai più difficile, ma il piano venne sventato.

Altri avvenimenti che l’Imam Khomeini commentò da Najaf furono le stravaganti celebrazioni dei duemilacinquecento anni della monarchia iraniana nell’Ottobre 1971 (“E’ dovere del popolo iraniano rifiutarsi dal partecipare a questi festeggiamenti illegittimi”); l’insediamento formale di un sistema politico basato sul partito unico in Iran nel Febbraio 1975 (l’Imam proibì di iscriversi al partito, chiamato Hezb-e Rastakhez, in una fatwa emessa il mese seguente); e la sostituzione, nel corso dello stesso mese, del calendario imperiale (shahanshahi) in luogo del calendario solare basato sull’Egira37 utilizzato ufficialmente in Iran fino a quel momento.

In occasione di determinati avvenimenti, l’Imam emise vere e proprie fatwa piuttosto che proclami: l’Imam respinse ad esempio come incompatibile coi dettami dell’Islam la “legge per la tutela della famiglia” varata nel 1967, e definì adultere le donne che si erano risposate dopo aver ottenuto il divorzio in base ad essa38.

L’Imam Khomeini dovette poi affrontare anche il cambiamento delle circostanze in Iraq. Il partito Ba’th, fondamentalmente ostile alla religione, era giunto al potere nel Luglio del 1967 ed iniziò presto a fare pressione sui sapienti religiosi, iracheni ed iraniani, di Najaf. Nel 1971 Iraq ed Iran entrarono in un reciproco stato di guerra sporadica e non dichiarata, ed il regime iracheno iniziò ad espellere dal suo territorio iraniani i cui avi vivevano in Iraq in alcuni casi da generazioni. L’Imam, che fino a quel momento aveva sempre mantenuto le distanze dalle autorità irachene, iniziò a rivolgersi direttamente ai più alti gradi del governo iracheno, condannandone le azioni.

L’Imam Khomeini era, infatti, costantemente e acutamente consapevole delle connessioni tra le questioni iraniane e quelle del mondo islamico in generale e delle terre arabe in particolare. Questa consapevolezza lo portò a rilasciare un proclama da Najaf diretto a tutti i musulmani del mondo in occasione dell’hajj (Pellegrinaggio) del 1971, e di commentare, con frequenza ed enfasi particolare, i problemi posti da Israele al mondo islamico.

La particolare preoccupazione dell’Imam per la questione palestinese lo portò ad emettere una fatwa, il 27 Agosto 1968, in cui autorizzava l’utilizzo del denaro raccolto per fini religiosi (vujuh-i shar’i) per sostenere la nascente attività di al-Asifa, il braccio armato dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina; essa venne confermata da un responso giuridico simile e più dettagliato emesso dopo un incontro con i rappresentanti dell’O.L.P. a Baghdad39.

Il fatto che i proclami e le fatwa dell’Imam Khomeini fossero diffusi in Iran, anche se soltanto su scala limitata, fu sufficiente a far sì che durante gli anni dell’esilio il suo nome non venisse dimenticato. Di pari importanza, il movimento di opposizione islamica allo Shah nato dall’insurrezione del 15 Khordad aveva continuato a crescere nonostante la brutale repressione cui lo Shah aveva senza esitazioni dato via libera. Numerosi gruppi e persone prestarono esplicitamente la loro alleanza all’Imam. Poco dopo l’inizio del suo esilio era stata messa in piedi una rete chiamata Hey’athe-ye Mo’talife-ye Eslami (Alleanza delle Associazioni Islamiche), il cui quartier generale era a Teheran, ma che disponeva di branche in tutto l’Iran.

Ne erano membri attivi molti tra coloro che avevano studiato a Qom sotto la guida dell’Imam, e che dopo la Rivoluzione avrebbero ricoperto cariche importanti; uomini come Hashemi Rafsanjani e Javad Bahonar. Nel Gennaio del 1965 quattro membri dell’Alleanza uccisero Hasan ‘Ali Mansur, il primo ministro che aveva disposto l’esilio per l’Imam.

Per tutto il tempo che l’Imam Khomeini rimase in esilio, nessuno fu né ufficialmente né clandestinamente autorizzato a rappresentarlo in Iran.

Ciò nonostante, ulama autorevoli come l’Ayatullah Morteza Mutahhari, l’Ayatullah Sayyid Muhammad Husayn Beheshti (martirizzato nel 1981) e l’Ayatullah Husayn Ali Montazeri rimasero in contatto, diretto ed indiretto, con lui, ed era noto che parlavano a nome suo su questioni importanti. Così come le loro controparti più giovani nell’Alleanza, tutti e tre avrebbero avuto un ruolo importante durante la Rivoluzione e negli anni seguenti.

La continua crescita del movimento islamico durante l’esilio dell’Imam Khomeini non dovrebbe essere attribuita soltanto alla sua perdurante influenza o all’attività degli ulama che agivano in accordo con lui. Furono importanti anche le lezioni ed i libri di Ali Shari’ati (morto nel 1977), un intellettuale di cultura universitaria la cui comprensione e presentazione dell’Islam era stata influenzata da ideologie occidentali, marxismo incluso, ad un livello tale che molti ulama ritenevano come pericolosamente sincretista.

Quando all’Imam venne chiesto di pronunciarsi sulle teorie di Shari’ati, sia da parte di coloro che lo difendevano che da parte di coloro che lo avversavano, egli evitò con discrezione di pronunciarsi in modo reciso, così da non creare nel movimento islamico una frattura da cui avrebbe potuto trarre giovamento il regime dello Shah.

Il segnale più chiaro della persistente popolarità dell’Imam Khomeini negli anni che precedettero la Rivoluzione, soprattutto nel cuore dell’istituzione religiosa a Qom, avvenne nel Giugno 1975, in occasione dell’anniversario dell’insurrezione del 15 Khordad. Gli studenti della madrasa Feyziye inscenarono una manifestazione all’interno della madrasa e una folla di simpatizzanti si raccolse all’esterno.

Entrambe le manifestazioni continuarono per tre giorni, finché non vennero attaccate da terra dai commando, e dall’aria da elicotteri militari, con numerose persone uccise. L’Imam reagì con un messaggio in cui dichiarava che gli eventi di Qom ed altre agitazioni dello stesso tipo verificatesi altrove andavano considerate come segno di speranza che “la libertà e la liberazione dalle catene dell’imperialismo” erano ormai a portata di mano40. La Rivoluzione iniziò infatti due anni e mezzo dopo.

 

di H.Algar

 

 

 

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